lunedì 1 gennaio 2024

Altro giro, altra corsa

Non avevo mai sentito il bisogno di tracciare un bilancio del mio anno.

Non fino a questo momento.

Sono sempre stato piuttosto refrattario alle consolidate dinamiche “mainstream” proprie delle generazioni social;

tuttavia, a questo giro voglio fare uno strappo alla regola, alla mia regola.


D'altronde, non si può non fare un'eccezione per un anno che è stato a dir poco eccezionale, sarebbe contraddittorio.

E paradossale, come mi piace dire da quando i miei genitori mi hanno spiegato il significato di questa splendida parola, capace di riassumere in un'unica espressione l'essenza dell'animo umano, appunto, paradossale.

Since my parents taught me this beautiful word and his beautiful meaning.

“Cool”!

Esclamerebbe la mia insegnante d'inglese.


Tuttavia, se fin ora ho parlato praticamente del niente cibandovi solo di aria fritta, beh, potete anche guardare il lato positivo:

l'aria fritta non fa ingrassare,

riempie la pancia ma non fa star male,

non puzza, contrariamente a tutta la sua categoria

ed anche se abile illusionista, aiuta a sviluppare molte più endorfine di

un telegiornale o di una delusione d'amore.


Peter Frampton, alle mie spalle ha riattaccato il suo talk box e sta duettando con chitarra e bocca

sulle note di “do you feel like we do” mentre io provo a far fluire il mare di pensieri che scorre nelle mie vene fino a quasi farle scoppiare;

di fronte a me, nel mio appartamento “cozy”, il cupo cielo di Bologna,

l'asfalto bagnato dall'umidità, i “botti” di fine anno, in lontananza.


Che poi,

con tutto il rispetto per i cittadini bolognesi ma, se questi volete chiamarli botti,

allora datemi la cittadinanza iraqena, perchè vuole dire che io vengo da Baghdad.


Me parono più coriandoli che petardi, mi verrebbe da dire in un istinto romanesco che non mi appartiene ma rende l'idea di ciò che penso in questo momento.


Ma si sa, noi del sud abbiamo gli standard alti ed i timpani esigenti.


Guardo fuori dalla finestra del mio salotto e penso a tutti quelli che potrebbero essersi persi nel buio dell'oscurità senza avere tutti gli strumenti di cui la vita mi ha fatto dono per supportare il mio cammino fino a qui.

E' stato un anno incredibile,

che, se ci ripenso,

mi rendo conto di non aver fatto nulla in particolare, anzi,

ho rinunciato alle mie vacanze estive per studiare e per stare vicino al mio cane

che non lotta più contro la forza di gravità da poco più di 4 mesi.

Ho iniziato a guardare lo scontrino che la vita dopo i 30 anni periodicamente ti presenta

quando per motivi non dipendenti da te devi smettere di fare attività sportiva con la frequenza di un tempo.


Ma ho assaporato con gusto la vita conquistata a piccoli passi,

fatta di piccole gioie, quelle che ti fanno sorridere mentre sei su un treno ed incroci lo sguardo con una coppia di viaggiatori di età pensionabile che si girano con te a vedere il mare tutte le volte che l'intercity che ti porta a casa varca le soglie della costa adriatica.


E' stato un anno veloce, e per la prima volta io ho corso insieme a lui.


Una volta ricordo che in tv fecero vedere l'analisi dei 100 metri di Usain Bolt,

l'uomo più veloce dell'universo, anzi, con buone probabilità, anche della galassia.

Il suo record era intorno ai 9 secondi,

ma quei 9 secondi erano scomposti in fasi.

Ci credereste mai?

Che un intervallo di tempo così piccolo possa a sua volta dividersi in altre piccole precise fasi

per andare a creare un puzzle perfetto verso il traguardo?


La pistola a salve spara,

Bolt parte,

nei primi metri si alza,

per qualche attimo è in linea con la maggior parte dei suoi avversari

poi qualcosa dentro di lui dice :“vai”

e lì partono le falcate;

Bolt stacca i suoi avversari,

non si limita a superarli, li brucia,

arriva a dargli una falcata e mezzo,

secondo me, i suoi avversari si sentono come quando da bambino andavo al mercato con mia madre e mentre eravamo in coda per comprare la frutta secca, io venivo rapito da qualche bancarella

-”mamma aspettami qui, ferma, in questo punto, vado un attimo lì, ok”?

-”va bene, sì, ti aspetto qui”.

Ovviamente quando tornavo, mia madre non c'era MAI.


E così ho imparato a gestire gli attacchi di panico già a 6 anni.


Ecco, secondo me gli avversari di Bolt stanno così, nel panico più totale,

l'avevano immaginata diversa, non doveva andare così, non se l'aspettavano.


Ma il bello deve ancora arrivare.


Bolt, ha guadagnato sufficiente vantaggio sui suoi avversari per potersi girare mentre ancora corre verso il traguardo e così fa: si volta a destra e a sinistra, ma di fianco a lui, ovviamente, non c'è nessuno;

sono tutti abbastanza dietro e Bolt,

allora, può compiacersi per essersi assicurato il 1° posto prima ancora di arrivare alla linea del fotofinish.



Beh, io mi sento un pò come lui,

sono partito,

ho preso velocità, sono in scia,

non ho ancora raggiunto il mio obiettivo ma,

mi diverto a guardare indietro verso gli altri che corrono insieme a me, tiro fuori la lingua e pregusto il traguardo, che ancora non so se arriverà ma chi se ne frega,

mi sono gustato ogni singola fase del percorso.


Anche se ho un anno in più ed un cane in meno, mi sento di poter dire

a tutto l'universo di persone e cose che sono capitate nella mia vita in quest'anno e fino a questo momento, una sola parola:

grazie.


E grazie anche a te,

che senza parlare mi hai insegnato ad ascoltare,

che mi hai sempre dato senza chiedere nulla in cambio

e che mi hai insegnato a lasciar andare anche la cosa più bella che la vita potesse regalarmi: te.

Ciao Alice.

domenica 26 novembre 2023

Il sesto senso


Una persona normale ha 5 sensi,

5 splendidi modi per capire che cosa sta succedendo intorno a noi.

Le persone speciali ne hanno anche meno,

a qualcuno manca la vista ma sa leggere il cuore e sentire

la bellezza con le orecchie e con le mani.


C'è un'espressione inglese che amo,

si usa per dire che si conosce una cosa o una persona a memoria:

“by heart”.

Ti conosco “a cuore”,

è il mio cuore a risuonare ed a ricordarsi di te,

non ho bisogno di altro.


Le persone problematiche possono avere addirittura 6 sensi

ma non gli bastano per sentire altro che se stessi...


Lei aveva sei sensi.




Pasquetta 2017:

siamo in campagna da me,

mangiamo bruschette fatte col pane di Altamura abbrustolito sul fuoco del barbecue,

cuciniamo carne arrosto;

siamo 12 persone, il giusto numero per esser certi che non saremo sfortunati.

Abbiamo apparecchiato nel giardino ma non è bastato:

i nostri vestiti si sono affumicati di più di quello che mettevamo sotto i denti

ma è bello uguale.


Mentre travaso i piatti da dentro a fuori sento la sua voce che parla;

io sorrido e cammino, seguo le sue parole come se fossero la mia canzone preferita;

“by heart”

ricordo ancora adesso quanto era bello guardarla di profilo mentre parlava e sorrideva..

Era ipnotico, sarei potuto stare lì per ore

a “shcandare”, come si dice dalle mie parti.

Un po' come quando guardi il gelato del McDonald che si arrotola dentro il suo cono,

forse non ti interessa davvero mangiarlo,

lo hai preso solo per vederlo serpeggiare lì,

colorato e perfetto.




La fine della giornata non è stata bella così come il suo inizio,

ma avrei dovuto capirlo,

persone nuove,

una vita fuori,

ricominciare da capo,

si è fragili, si può vacillare facilmente

e così arriva il suo sesto senso

a coprire il lavoraccio di tutti gli altri cinque.


Il vuoto.


Era la prima volta che qualcuno me lo nominava,

ma non mi è sembrato strano,

Ricordo che quella volta,

guardandomi dentro, capii subito che

anche io avevo provato qualcosa del genere

molto tempo prima.




Ho avuto paura del vuoto per diverso tempo

e questo ha anche condizionato i miei piani per un certo periodo,

poi ho imparato a non fidarmi di me stesso

e la cosa è svanita nel nulla, senza neanche salutarmi,

Ciao.




3 anni e mezzo dopo quella Pasquetta,

ero di nuovo all'aperto,

ma stavolta ero da solo davanti ad uno strapiombo a 2000 metri d'altezza,

feci male i miei calcoli e così mi ritrovai

stanco, solo, e zuppo d'acqua in una vallata in cui c'ero soltanto io.

Nessun amico, nessun profilo da guardare per ore mentre parla e sorride.


Fu tutto talmente veloce che credo che dentro di me

sia partita anche una risata

mentre stringevo con forza quell'unica zolla di terreno che poteva salvarmi.


Il mio sesto senso era tornato,

aveva scavalcato le recinzioni della mia mente come

il miglior Mike Bongiorno con la staccionata dell'olio Cuore.

Mi aveva tappato le orecchie,

aveva chiuso i miei occhi

e fermato qualunque mia capacità di percepire la realtà delle cose.


Accadde qualcosa, però, che capovolse la situazione:

non poteva finire così,

la vita mi stava solo rimandando

l'esame di riparazione sarebbe arrivato di lì a tre mesi, come da tradizione.


In quel tempo il mio sesto senso è tornato diverse volte a farmi visita,

ha provato cambiando forma, cambiando aspetto;

per un certo periodo ha anche finto di essere mio alleato,

ma pian piano alla fine è andato via e lo ha fatto senza nemmeno salutarmi.

Ciao


Non credo di essere mai stato così sorpreso dalla meraviglia della vita come in quel periodo.

Ma alcune cose dovevo ancora capirle.





Prima di morire mio nonno ha voluto lasciare qualcosa a tutti noi, fra figli e nipoti:

a me è toccato un orologio d'oro che credo abbia quasi 100 anni.

Ricordo che quando vidi quanto era quotato gli occhi mi uscirono dalle orbite!

Ciononostante, ancora una volta,

stavo affidando al mio sesto senso la possibilità di stabilire le priorità della mia vita

perchè, in realtà, la cosa più preziosa era proprio quella che valore economico non ne aveva

pur essendo quella più importante da custodire.


Avevo passato una vita con lui che parlava alla famiglia sotto quel grande pendolo che ad ogni ora ci ricordava della sua presenza,

ma non mi ero mai soffermato sull'importanza che aveva realmente il tempo,

quello passato con le persone che ami o, come molto spesso accade, quello da soli, lontano dagli affetti ma fondamentale per sapersi ascoltare.


Quel pendolo mi ha insegnato a gestire le emozioni negative,

e quell'orologio così prezioso mi ha insegnato a cacciare via per sempre il mio sesto senso.


C'è sempre tempo per chi vuole davvero qualcosa

quel tempo arriverà,

è solo questione di tempo.

Ma io non voglio realmente che quel tempo arrivi,

io so che arriverà,

voglio godermi l'attesa



ho imparato ad aspettare.



Escistasera?


mercoledì 1 novembre 2023

Perdi il controllo

 

Capisci di star invecchiando quando non ti limiti più a cercare scuse per non fare cose come uscire di casa, accompagnare qualcuno in quel posto dove non sei mai voluto andare o semplicemente metterti in gioco;

capisci di star invecchiando quando inizi a cercare scuse anche per non fare le cose più normali,

alzarti per andare a lavoro,

leggere un libro,

aprire il pc per scrivere su quel blog che una volta ti eri anche convinto che avresti chiuso.


Negli ultimi mesi il mio computer era diventato un complemento d'arredo sul mio tavolo, più utile spento e chiuso che aperto e funzionante.

Sicuramente quando è spento è più performante ma, chiaro,

se invecchia l'uomo, non vedo perchè non dovrebbe farlo la macchina..

Sono diventato talmente poco incline a dedicarmi a qualcosa di diverso dal solito che mentre scrivo indosso

un paio di occhiali a cui manca una stanghetta, così, perchè non mi andava di andare dall'ottico a farmela sostituire.

E così sembro proprio uno di quegli impiegati d'ufficio quarantenni che si vedono nei film, vestiti in camicia bianca a maniche corte e cravatta, che non hanno mai avuto una interazione con l'altro sesso fino al giorno in cui non hanno scoperto che il loro capo era una donna.

Chissà se il mio capo è una donna...i miei 40 anni sono ancora lontani, fortunatamente.


Che poi, non è che io stia proprio invecchiando,

diciamo che mi sto lasciando alle spalle la giovinezza.


Ad ogni modo, sono riuscito a fare una cosa che negli ultimi tempi mi sembrava impossibile:

rimettermi a scrivere!

In realtà, più che fingermi un creatore di qualche tipo di contenuto, ciò che stava divenendo impossibile era divincolarmi dalla ragnatela dei social, in cui troppo spesso mi rifugiavo a causa di qualcosa che non saprei nemmeno come definire..pigrizia? Noia? Svogliatezza?

Terno!

Ho pensato molto a quello che avrei voluto dire qui oggi ma, come ogni volta, non appena apri il quaderno e decidi di dedicarti a ciò che hai procrastinato per mesi, ecco che accade proprio quello che non volevi:

dove sono andate le mie idee??

A smaltire le ferie arretrate del 2018, capo!


Bene, come al solito, dovrò inventare.


Ovviamente inventerò cazzate, quindi se qualcuno ha davvero intenzione di continuare a leggere, non si aspetti un qualche contenuto profondo o che lo faccia addormentare con la convinzione di essersi arricchito!

D'altronde, Internet ce lo ha insegnato benissimo:

se non è a pagamento e non ci sono cookies, non sarà mai così interessante!


Dunque, non vogliatemene se, cronometrando il vostro tempo qui sopra, alla fine di questa lettura vi renderete conto di aver perso 15 minuti di vita,

io volevo solo riprendere un po' “la mano”, anzi, per essere più corretti, le dita, dopo inutili mesi passati ad allenare solo il mio bel pollice opponibile nell'antica arte tibetana dello “scrolling”.


Dicevamo, i social.

Da quasi sei anni ho deciso di cancellare il mio profilo Facebook,

in primis perchè di profilo non sono mai venuto bene (brrrr, Artic rompe il ghiaccio)

e poi perchè mi faceva troppo male rendermi conto che la mia ex aveva già qualcun altro per la testa.


Così, ho deciso di troncare di netto

e vissero tutti felici e contenti.


Poi è stata la volta del Covid,

quella volta in cui i social si sono presi gioco di noi, dicendoci:

vedete che noi serviamo a voi molto più di quanto voi

serviate a Zuckerberg?


Sono un boomer, lo so, non ricordo come si chiami l'attuale Zuckerberg.


Torniamo a noi,

il mio profilo Instagram ha resistito per molto tempo e per un certo periodo,

complice il mio smartphone scassato, sono addirittura stato senza Whatsapp

autoergendomi a uomo dell'anno nella lotta ai cazzi altrui.


Giornata tipo:

i cazzi altrui venivano a bussarmi alla porta come i testimoni di Geova la domenica ed io rispondevo che non ero interessato o che non ero in casa.


Tuttavia, come in ogni esplosione nucleare,

l'onda d'urto si è riversata su di me quando meno me lo aspettavo ed all'alba del 2022 anche io iniziavo a viaggiare in modalità pilota automatico sul social più finto di sempre.


No, non ho fatto errori di ortografia.

Non ho mai avuto un orto, figuriamoci un'ortografia.

Comunque, scrivendo sul pc, l'ortografia, teoricamente non dovrebbe esistere,

ma mio padre potrebbe dire la stessa cosa di me;

la pratica, però, si sa, è diversa.


Dicevo, il social più finto di sempre, sì!

Perchè, non può non esserci finzione in una donna di spettacolo che sorride con il suo uomo accanto

quando il giorno dopo le testate giornalistiche la ritraggono con gli occhi gonfi ed il volto viola per le botte avute dalla stessa persona.


Qualche mese fa ho ricevuto una telefonata

che mi ha tolto il fiato.


Vi è mai capitato di bagnarvi la pancia con l'acqua fredda un attimo prima di tuffarvi?

La mia reazione è stata così,

avevo la bocca aperta e mi mancava il respiro,

volevo dire qualcosa ma non ci riuscivo

e anche quando mi sono ripreso, ero senza fiato.

E' stata la prima volta in vita mia che mi sono trovato impreparato in una situazione.


Quando dico impreparato, non faccio riferimento al fatto che abbia avuto solo successi,

che abbia finito tutti i livelli senza mai perdere una vita o uscirne ammaccato, tutt'altro.

Ho vinto, tante volte ho perso,

ho sorriso e tante volte ho pianto, di dolore si intende,

ma in nessuna di queste situazioni ero impreparato,

sapevo che certe cose sarebbero accadute o

quantomeno,

me lo aspettavo.


O forse, era quello che volevo, come saggiamente sosteneva qualcuno.


Ma questa volta sono stato preso completamente alla sprovvista e, per un attimo, ho sentito la terra che mi veniva via da sotto i piedi.


Per quanto la cosa mi riguardasse solo in via indiretta,

tutto questo è servito anche a me per fare una riflessione:


Quando posso dire che la mia vita va bene?

Quando posso affermare, con certezza, di essere felice?

Sono molto più felice di quello che sembra mentre scrivo qui, adesso,

nonostante immagino che ai più possa sembrare tutto il contrario.


E' vero, però, che sono decisamente più grato ai momenti negativi che la vita ha voluto notificarmi,

rispetto a quelli che il palinsesto definiva “momenti felici” sin da principio,

perchè ritengo che siano quelli il preludio più bello ad una vita grata e piena di bellezza.


Esattamente 12 anni fa ero in Umbria, con l'Esercito, ed uno degli istruttori,

nell'aula in cui stavamo facendo lezione disse:

-”oggi parleremo di quest'arma,

la pistola Beretta 92 F.S Parabellum!

Sapete da dove viene il termine parabellum?

E' latino, è preso da una famosa espressione che recita: “si vis pacem, para bellum!

Se vuoi la pace, preparati alla guerra”.


Può mai un militare che imbraccia l'arma tutti i santi giorni della sua vita, non essere preparato

ad un improvviso conflitto?

Può un soldato non essere preparato ad un imprevisto?

Ovviamente no.

Potrei parlare per ore del concetto di “deterrenza” e di “escalation force” ma, se fino a qui mi hanno

letto in tre, probabilmente finirei, oltre che fuori dal senso di questo intervento, anche in un meme senza capo né coda.


Credevo che essere preparato a tutto fosse le chiave per essere felice,

non facevo cose perchè ritenevo di sapere a monte che non avrei ottenuto ciò che volevo,

non accettavo le risposte che mi avrebbero fatto male

come mi faceva male anche solo immaginare che sarebbero arrivate

e così le precorrevo io,

mi dicevo, se deve succedere, deve essere per mano tua!

Bravo coglione, mi griderei adesso a squarcia gola,

ma una voce può andare lontano nello spazio, non nel tempo,

non in quello passato.

Nemmeno in quello passato con le verdure, grazie a Dio, altrimenti dovrei riconoscerne l'utilità ed iniziare a mangiarlo.


Quando immaginavo qualcosa, accettavo solo che potesse accadere nel modo che mi ero costruito nella mia mente, nel bene ed anche nel male.

Controllavo ogni mia emozione: una giornata bella diventava il giorno peggiore della mia vita o, viceversa diventavo euforico ed ipereccitato.

Non ero eccitato come un macaco nella stagione dell'amore eh, ho un dizionario dei sinonimi e contrari limitato e uso i termini che più si addicono a ciò che voglio esprimere avvalendomi dei pochi attrezzi che ho in cassetta.


Volevo avere tutto sotto controllo, insomma.



Una volta una ragazza mi disse che avevo un atteggiamento “guardingo”, perchè mentre ero con lei ero più interessato a controllare chi poteva posare lo sguardo su di lei che perdermi nelle attenzioni che lei riservava a me:

io la presi come una battuta; solo tempo dopo ho capito che la vita mi stava dando l'ennesimo spunto di riflessione sul mio errato modo di riflettere ciò che mi stava accadendo.


Riflettere è un verbo transitivo, vuol dire che la nostra mente è come un prisma,

prendiamo la luce che emana ogni momento della nostra vita e la direzioniamo in una delle sue facce, ma decidiamo noi quale, chi ci dice cosa è giusto e cosa è sbagliato?


Negli anni 90 una delle reti musicali più famose di tutti i tempi, “MTV”, recitava nei suoi slogan:

“Mtv, music television, you control”

Era davvero un'avanguardia poter immaginare di poter esercitare un controllo su un mezzo come la tv, come la musica,

chi non ha mai portato ad una festa con gli amici, una compilation creata a casa?

Io lo facevo sempre, purtroppo ascoltavo musica di nicchia

che gli altri descrivevano di minchia, questo non mi aiutava,

ma quando partiva quel pezzo che avevo messo io, che avevo deciso io che doveva stare lì,

alla traccia numero uno,

mi sentivo il padrone del mondo.


Ho frequentato posti che sapevo che mi avrebbero fatto incontrare la persona che stavo cercando,

ma ho anche evitato strade che mi avrebbero portato agli stessi tipi di incontri, fuggendo prima di tutto da me.

E poi ho iniziato a credere che “se deve succedere, succede” o che quantomeno, “può succedere”

ed è stato lì che ho provato le emozioni più belle di sempre: lo stupore e la meraviglia.

Ho visto come la vita poteva arrivare al suo scopo anche percorrendo strade che mai avrei potuto immaginare.


Ho perso il controllo e vorrei che lo facessi anche tu, amico mio.

domenica 2 aprile 2023

EGO

Quando nel 1998 ho sentito per la prima volta questa parola in TV, non mi sono fatto molte domande limitandomi a chiedere a mio padre di portarmi al bar per assaggiare ciò che a prima vista sembrava la quintessenza del piacere. (Magnum Ego, cit.)

Quando, poi, a pancia piena ed in pieno loop insulinico, ho chiesto ai miei genitori cosa volesse dire quella parola, loro, da bravi classicisti, mi hanno risposto:

"ego, è latino, significa IO! da ego deriva la parola egoista"

Anche se a 9 anni non ero così forte con i collegamenti intertestuali, posso dire che non ci fu bisogno di darmi ulteriori spiegazioni: per quante volte l'avevo sentita, sempre diretta a me, sarei dovuto essere il primo bambino prodigio a diventare professore universitario in questa materia.

Tuttavia, mentre io crescevo sempre più a suon di gelati e latinismi, la vita sogghignava all'idea di presentarmi un salato conto negli anni futuri.

In un film dicevano che più è lungo il nome di una malattia più è potenzialmente letale, beh,..in realtà, in quel terzo di vita abbondante che posso dire di aver vissuto, sono state le parole brevi a procurarmi le ferite più profonde ed i vari "NO" ricevuti si sono andati accatastando nel tempo in uno stanzino dove sulla porta ci sono proprio le tre lettere di cui sopra: EGO.

"Prima o poi sarebbe dovuto succedere" suona molto più concreto di "se deve succedere succede".

Da quando, poco meno di 3 anni fa, ho iniziato a fare i conti con me stesso, ho notato quante volte fino ad allora io sia andato a letto imprecando per una giornata andata storta o per situazioni che non andavano nel verso che volevo, rendendomi conto di quanto possa essere facile perdersi nei meandri delle proprie storture interiori solo perchè le cose non arrivano come e quando vogliamo noi.

Anzi, come e quando voglio io, -"parl p tè professò" mi direbbe qualcuno.

Severo ma giusto.

Stanco, nervoso ed accigliato pretendevo di essere felice, incazzandomi se questo non succedeva, perchè me lo aspettavo, DOVEVA succedere, "io me lo merito" mi ripetevo, dentro e fuori.

Poi mi sono ricordato la barzelletta del contadino che vuole vincere la schedina.

Mio padre, la volta che me la raccontò, mi fece ridere un sacco, ero solo un bambino e lui non voleva di certo insegnarmi la vita, non così almeno, ma capitava spesso che finisse a raccontarmi barzellette a cui a volte rideva solo lui, quando il pomeriggio non riuscivo ad addormentarmi e compromettevo anche il suo sonno.

Forse è così che ho preso il vizio di far battute che non fanno ridere e scoppiare in fragorose risate proprio mentre gli altri mi guardano e mi fanno: -"scemo, non fa ridere".

Un giorno, un umile contadino, in perfetto stile Don Camillo, si rivolge al cielo chiedendo di vincere la schedina.

Dal cielo non arriva nessuna risposta ma il contadino non lo prende come un brutto segno, d'altronde, chi tace acconsente e quindi lui, speranzoso, riprende il suo lavoro confidando che a breve arriverà il suo turno.

Non arriva nessuna vincita. 

Un altro giorno, l'umile e devoto contadino alza la testa e chiede nuovamente di vincere la schedina:

lui è un umile e modesto contadino, vincere la schedina significherebbe vivere una vita dignitosa, di certo non fatta di lussi o sfizi ma quantomeno di qualche piccola consolazione dopo una vita di sacrifici, godendosi una meritata pensione.

Anche stavolta nessuna risposta ed il campo non si coltiva di certo da solo, così il contadino, fiducioso, anche se meno della prima volta, riprende il lavoro sperando che sia solo questione di tempo.

Aspetta aspetta, anche stavolta non arriva nessuna vincita.

Un altro giorno ancora, il povero contadino, stanco per quanto gli fa male la schiena, stufo di tutti i continui sacrifici, in un rantolo di rabbia e disperazione esclama:

Signore, e fammi vincere una schedina, per una volta!

Ormai rassegnato, il contadino riprende a lavorare quando, improvvisamente il cielo si apre ed una figura appare davanti a lui, incredulo che stia davvero accadendo.

E' proprio Dio che, senza troppi giri di parole, gli dice:

"ma, almeno, la vuoi giocare sta cazzo di schedina"??!

Mi ci sono voluti un paio di decenni, arrotondando per difetto, per capire il vero significato di questa barzelletta, ma almeno posso dire che adesso sono un pò più sensibile agli input esterni!

Certo che, nel momento in cui credevo che tutto mi fosse dovuto,

che me lo meritavo

e che erano gli altri a dovermi dare ciò che aspettavo,

ho conosciuto una delle parole più brevi che fanno più male ad un uomo: l'EGO.

-"Io credo proprio che lei si sia autosabotato", mi disse qualcuno, una volta.

Aveva ragione.

E' stato così bello farlo, procurarsi tutto quel dolore per arrivare finalmente a capire quanto può essere incredibile lasciarsi trasportare dagli eventi rimanendo con gli occhi aperti a vedere dove ci portano le onde.

E alla fine di questo ciclo che mi ha visto prima morire e poi nascere non potevo che farmi una grassa fragorosa risata alla faccia di tutti gli splendidi sbagli che avevo fatto, con me stesso e con gli altri.

I messaggi, i comportamenti e tutto quello che mi era capitato fino a quel momento assumevano un significato completamente diverso se spogliati del velo che grazie al mio ego ci avevo steso sopra.

Escistasera?

venerdì 23 dicembre 2022

La fantastica solitudine dei numeri

 Il tombolone quest’anno lo tengo io!

Non vedo l’ora di infilare la mia possente mano destra in quel sacchettino verde in feltro!

Ma.. adesso che ci penso..

nessuno ci fa caso a quanto potrebbero soffrire quei poveri, piccoli indifesi numerini?

Dopo 350 giorni di caldo, senza distanziamento e senza alcun tipo di svago,

senza neanche una luce accesa..

Ci ricordiamo di loro solo in quei 15 giorni all’anno in cui ci fanno comodo,

li prendiamo,

li trastulliamo,

li amiamo,

li CHIAmiamo!

E poi? Di colpo, bam! Tutti di nuovo nello sgabuzzino!

-"Cara tombola anche quest’anno non mi hai fatto vincere un cazzo"!

Che trattamento..

E quindi di nuovo al buio, stipati come sardine per altri 350-351 giorni.

Quando li usiamo, poi, non ci limitiamo nemmeno ad accarezzarli, li stupriamo proprio!

Eppure, in mezzo a tanta sofferenza,

io vorrei essere uno di loro.

Io vorrei essere come loro.


E non perché io abbia una particolare empatia, anzi.

Vorrei solo essere.. come loro: un numero.


Vorrei essere uno di quelli che stanno lì, in fondo al sacchetto,

ma non uno di quelli che qualcuno si aspetta che venga chiamato e, più non viene a galla, più è desiderato.

Noo!!

Io vorrei proprio che non mi desiderasse nessuno!

Un piccolo numero insignificante! Quello vorrei essere!

L’unico numero che non conta! Che bello!


E’ una vita che lotto per essere un numero.


Una vita che esco di casa col piumone in lana merinos addosso nella speranza di essere preso per pecora.

E invece, da una vita, mi sento dire le due parole più brutte che esistano:

"voglio

te".


Sisi, hai capito bene! Proprio te!


Fosse solo in ambito lavorativo, poi, almeno avrei come far contrappeso dall’altra parte..e invece no!

Pure le donne, pure loro!

A parte che mia madre mi ha sempre detto che l’”erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re”!

Ma poi, non si può tornare alle sane generalizzazioni di un tempo?

Io adoro le donne che generalizzano!

Quelle donne detengono le chiavi del sapere!

“-Voi uomini siete tutti uguali,

volete solo portarci a letto,

non ve ne frega niente di noi”…

E via così per un paio di millenni se non di più!

Ci sarà un motivo se sta ricetta viene da sempre tramandata di generazione in generazione, no?

Ma, poi, soprattutto, vorrei capire:

dove sta scritto che io devo essere per forza diverso dagli altri??

Per carità, massimo rispetto per chi lotta una vita per distinguersi dalla massa, sono scelte eh, ma io..

Io adoro le donne che generalizzano!

Le adoro!

Le adoro perchè

mi danno la possibilità di essere come tutti gli altri.

E per me, non ci sarebbe niente di più bello al mondo!

“Ma tu mi leggi dentro,

ma tu,

tu mi capisci come nessun altro

tu mi fai sentire protetta,

tu mi fai sentire diversa,

gli uomini sono tutti stronzi

ma tu sei diverso”!

Eh no eh! No!

Io sono come tutti gli altri!

Mi gratto il sedere, faccio i rutti, se non mi lavo puzzo

Mi lavo perché devo andare a lavoro, ma non per questo dovrete trattarmi in maniera diversa!

Pensavo fossimo amici, ma tu mi dici questo..con chi credi di avere a che fare?

Col tuo ragazzo?




Io non ho fatto niente, o forse sì.

Mia madre e mio padre mi hanno tirato su dicendomi che dovevo imparare ad ascoltare,

io ho fatto solo quello che mi dicevano loro, pensando che fosse giusto,

io mi FIDAVO di loro.

Che cosa ne potevo sapere che poi sarebbe andata a finire così?

Nessuno m’ha avvisato.



Tu-tu-tu

Sembra come la cantilena del telefono fisso che risulta sempre occupato..e invece no,

è proprio lui, lui, il mio peggior nemico, il pronome personale che più odio al mondo e che più io tenti di scansarlo, più mi si attacca addosso

Ma che accollo è?

Tu sai farmi ridere,

tu sai farmi riflettere,

“TU MI LEGGI DENTRO”,

tu mi GUARDI dentro (sono umano anch’io eh)

Ma cosa ho fatto di male, per meritarmi questo?

Ora vorrei capire, ma sto chiedendo tanto, io?

A me non sembra proprio!

Vorrei solo

non avere il telefono che squilla costantemente,

non ricevere messaggi assilanti in cui mi si chiede di vederci,

quando tornerò,

che impegni avrò,

con chi mi vedrò,

cosa sto facendo,

chi sto pensando,

quanto ci sto pensando.

Ohhhhhh!!

Ma potrò rivendicare il mio diritto alla solitudine anche io?

E se continua così sarò costretto a scaricarmi Tinder eh!

Almeno lì so che mi capiscono.


Escistasera?

mercoledì 21 dicembre 2022

Percepire

La minaccia, per essere penalmente rilevante, deve essere percepita.

Non lo dico io, lo dice la legge.


Leggevo questa frase perchè, ogni tanto, quando sono al bagno, mi capita anche di leggere qua e là cose a caso che parlano di diritto;

effettivamente la cosa mi ha fatto riflettere.


Percepire, per me è una parola che ha un che di musicale,

molto, a dir la verità.

Se, oggi, dovessi spiegare ad un bambino cosa significa la parola "percepire" non mi limiterei a dire semplicemente "sentire" ma credo che lo porterei sul lungomare della mia meravigliosa città,

alle 3 di una domenica pomeriggio, quando c'è pochissima gente in giro,

e gli farei chiudere gli occhi;

mi metterei accovacciato dietro di lui e gli direi nell'orecchio: 

- "senza aprire gli occhi, adesso, dimmi, cosa sta succedendo, in questo momento, intorno a te"?

Mi aspetterei due reazioni:

una, più timida ed introspettiva: lui abbassa il capo portando il mento al petto, come per ascoltarsi dentro;

un'altra, più sognante: posizione dell'albero,

allarga le braccia ed apre le mani al vento.


Non mi stupirei se mi parlasse del rumore del mare,

delle onde che, di tanto in tanto, si infrangono lievemente sul frangiflutti più avanti,

o dell'odore del sale che nelle belle giornate di primavera può prenderti anche la gola,

oppure, ancora,

della brezza che gli accarezza le mani.

-"Esperimento finito, puoi riaprire gli occhi:

oggi hai capito cosa vuol dire percepire".


Se, oggi, dovessi spiegare ad un ragazzo di 20 anni cosa significa la parola "percepire", penso che lo farei in un altro modo.


-"Cosa vorresti che ti dicesse la ragazza che ti piace, prima che tu possa baciarla per la prima volta"?

Io vorrei proprio che dicesse quella parola lì, proprio quella, "percepire".

O "percepito", anzi, forse, "percepito" è anche meglio.


Le donne sentono poco,

ancor meno ascoltano ma,

molte volte, percepiscono.


E spesso percepiscono pure bene!



E dato che se devono parlare di sentimenti dicono

"sento"

oppure

"credo"

oppure, ancora,

"non lo so",

allora sai già che, quando usano il verbo percepire, ti trovi davanti ad una persona che sicuramente è completamente concentrata e rivolta su di te.


Supponiamo, poi, che tu voglia dare un significato vagamente più gourmet,

più foodporn,

più carnale, al momento,

quanto può essere sensuale una donna che, magari davanti ad un temporale estivo, usa una parola simile?


Pensaci un attimo:

siete davanti alla grande vetrata di un bar,

decidi tu se dentro, prima di uscire, 

o fuori,

a prendere acqua in testa con le scarpe sporche di ghiaia,

quando lei, ad un certo punto, smette di guardare l'orizzonte, si gira verso di te e dice una frase brevissima che finisce con quella parolina maggica (come direbbero a Roma).

Pensa a quegli occhi scuri che guardano solo te,

che per un attimo sono solo tuoi,

pensa a quelle gambe che si incrociano

(ho detto incrociano, non accavallano, porco!) come spesso le donne fanno quando si fermano per aspettare qualcuno che vogliono che le raggiunga,

pensa a quelle labbra,

morbide e carnose, che si cercano

la prima e la seconda volta,

con determinazione,

e che poi,

con delicatezza e simmetria,

si toccano,

pensa al solletico che si fanno lingua e denti,

che lievemente si urtano come bicchieri di prosecco in un aperitivo in spiaggia,

al tramonto.


E adesso dimmi,

dopo una scena così, non ti sentiresti obbligato a baciarla?


Io sì, è per questo che le donne non usano mai quella parola con me,

le furbe c'o sanno che poi io m'appropinquo!


Ma se io, oggi, a 34 anni, dovessi spiegare ad un mio coetaneo cosa significa per me la parola percepire gli direi che

se torni a casa,

accendi la lampada del divano,

ti concedi un bicchiere di vino mentre guardi fuori dal finestrone del soggiorno del tuo piccolo ma confortevole bilocale al 6°piano,

e, mentre pensi a quanto poco manchi a rivedere ogni singolo componente della tua famiglia,

senti la vicina del piano di sopra che canta e suona la chitarra,

allora hai davvero capito cosa voglia dire percepire qualcosa nella propria vita.


Prossima volta al bagno snake, però eh.


Escistasera?

venerdì 31 dicembre 2021

Divento un fotografo!

Per tutta la mia infanzia non ho mai amato essere al centro dell'attenzione.
Ho sempre interpretato gli occhi addosso della mia famiglia riunita come un: "adesso prendiamo per il culo sto qua",
-"facciamogli una foto vestito da uccellino nella recita scolastica, sì"!
-"Ridiamo mentre dice "che bello svolazzare fra gli alberi", sii"!
-"Facciamolo salire sulla sedia a recitare la poesia del cazzo di Natale, si
anche a Capodanno,
anche il giorno della Befana"!
-"E adesso vai con la poesia di Pasqua, piccolo stronzetto, forza"!
Cosa? La Comunione"?
Una bella foto!
Cresima?
Un'altra foto!
Foto con i genitori,
con gli zii,
con i parenti,
con i vicini,
gli affamati,
foto con gli appestati!
Milioni di milioni di foto!
-"E devi sorridere eh"! -"Non permetterti di non sorridere, cos'è quello"?
-"Ho visto bene, l'hai notato anche tu"?? -"E' solo mezzo, sorriso"!
-"Piccolo maledetto! -"Avevamo parlato chiaro, questa me la paghi"!
Mi è bastato poco per capire che per ripararmi da flash e riflettori potevo solo fare il conto alla rovescia per la fuga da Alcatraz.
Così, appena diventato maggiorenne,


a 22 anni,

me ne sono andato di casa e di foto non ho dovuto più farne.
Poi,
qualche anno fa,
sono tornato a stare a casa dei miei per un pò e durante i tempi morti, che per uno iperattivo come me sono davvero il mostro finale del problem solving,
ho iniziato a frugare fra le foto di famiglia:

-"Mamma, ma dov'è quella foto con la t-shirt dei Lakers"?
Non c'era nessuna foto con la maglia dei Lakers.

Cercavo una foto con mio nonno,
il guerriero, quello che quando l'ho visto a petto nudo, per la prima volta, mi è sembrato che lo avessero preso a forchettate per capire se era cotto, come un calzone di spinaci.
La foto non c'era.

Non avevo foto con i miei genitori per il giuramento del mio servizio militare,
non avevo foto con mia nonna, la mia prof. privata di latino.
Avevo condotto una lotta iconoclasta contro me stesso e l'avevo pure vinta.

Le uniche foto che c'erano in casa mia risalivano al 1990,
ad un anno e mezzo, quando ancora non s' era capito che avessi il pollice opponibile
e al 2006,
a 18 anni, quando i miei pensieri viaggiavano caldi in tutte le stagioni senza che mettessi il cappello.


Cosa ci ho guadagnato?
Sto grandissimo cazzo.
Con il tempo, con le esperienze, ho capito man mano che spesso diamo alla parola "ricordo" un valore troppo poco tangibile e molto immaginario.
La fotografia, quella vera, quella che toccavi e ci rimaneva l'impronta del dito vicino,
quella che se, disgraziatamente, aprivi il retro della macchinetta era: -"no!!
così bruci il rullino"!
Quello era l'unico modo che i nostri genitori avevano di fermare il tempo per un attimo,
bloccarlo, congelarlo.
E alzi la mano chi, toccando una fotografia, una vera, di quelle attaccate alla parete, al frigorifero o incorniciate e appoggiate su pareti e mobili del soggiorno, non s'è sentito per un attimo di nuovo lì, con quelle persone
riassaporando per un attimo gli odori di quelle giornate di festa,
i profumi i piatti cucinati in quantità per stare tutti insieme,
con il vociare di tutte le persone attorno.
Mollo tutto e divento un fotografo, ho deciso.



bentornato escistasera?