sabato 18 aprile 2020

Avevo Paura

-"Ehm, finiti"
-____
-"mmm..hai sentito"?
-____
-"Oooh"?!
-"Eh? cosa?
-"Dicevo, non ne ho più, li ho finiti"!
-"Ah va bene, non importa, a posto così grazie, fammi pure il conto"!
-"Te lo ricordi quella volta che scoppiasti a piangere quando scopristi che erano finiti e tua madre mi chiese dove poteva
trovarne uno per farti smettere"?



E come se me lo ricordo.
Non mi capacitavo del fatto che ciò che desideravo
poteva volerlo anche qualcun altro e che potesse essere stato più rapido di me nel procurarselo.
Ogni richiesta celava una pretesa.
Ciò che chiedevo DOVEVA essere mio.
Mia madre lo sapeva bene, quella volta si fece 12 km nel traffico pur di accontentarmi.
Così, ogni volta che mi addentravo nel panificio ed avevo anche solo la sensazione che
il bancone fosse più sgombro del solito, io tremavo, avevo paura.
Avevo paura di non poter ottenere ciò che cercavo, quello che desideravo più di ogni altra cosa.
Inizialmente erano i miei genitori a fare in modo che io fossi sempre accontentato ma poi, col passare del tempo,
il problema è diventato tutto mio, causandomi non pochi disagi.
Ho sperato che mi andasse sempre bene, che riuscissi sempre ad ottenere ciò a cui bramavo ardentemente e se ciò non succedeva
non ero capace di accettarlo.
Lottavo esclusivamente per evitare di dover fronteggiare quelle sensazioni orribili.
Ed è stato per questo che ho quasi sempre ottenuto quello che volevo.
E quel "quasi" ancora si ricorda di me, di notte, alle 4.
Ma non lo fa sempre, di solito solo quando devo svegliarmi presto.

Un bel giorno, poi, sono arrivato in panificio ed il bancone era vuoto, completamente vuoto,
ma io ero diverso,
non tremavo più,
ero felice.

Oggi, dopo 7 anni di riflessioni, in parte eviscerate anche qui, questo blog chiude i battenti.

Avrei potuto scrivere ancora molto, di una principessa che piangeva nel buio e di un indomito principe azzurro che accorreva in soccorso sprezzante di ogni pericolo.
Avrei potuto scrivere di Dario e della sua vita dopo la panoramica, o forse avrei potuto spiegare che prima di chiamarsi così Dario aveva il mio nome e che aveva accettato di assomigliare a qualcun altro in virtù della nostra amicizia e del suo altruismo.
Avrei potuto raccontare di tante altre persone che ho incontrato in tutto questo tempo e che, ognuna a modo proprio, mi hanno fatto capire che accettare ciò che si è e ciò che si ha non indica sempre un limite ma anche delle solide basi per il proprio futuro.

Alla fine è strano pensare che proprio in un periodo in cui "esci stasera"? sia la parola meno pronunciata in assoluto
io abbia deciso di dare un epilogo a tutto questo, togliendo la maschera (ma non la mascherina).


Ringrazio tutte le persone che in questi anni mi hanno spronato a continuare a scrivere qui,
chi si è trovato a leggere i miei interventi volente o "nolente" (so essere un buon dittatore ;-)) e chi lo ha fatto per caso.
Che un giorno i vostri sguardi possano posarsi sugli occhi di qualcuno pronto ad ascoltarvi esattamente come avete fatto con me.
Grazie

Finisco di divagare salutandovi virtualmente con dei pensieri
che non so se si possano chiamare "poesia" ma che spero possano per un attimo far sognare la mente di chi spera in giorni migliori che senz'altro arriveranno, e poi chiudo con la frase che più custodisco gelosamente nel mio cuore, che non pronuncerò mai abbastanza
(anche in onore di chi, in silenzio, ha saputo insegnarmela).


Verrà un momento,
in cui sapremo il senso
e se si pronuncerà ti penso,
dirai aspettami,
ora scendo.


Verrà un momento,
in cui dal buio, fitto e denso,
di un muro bianco, triste e spesso,
vivrai di fuoco
e non più spento.


Verrà un momento,
in cui diremo quest'era il senso?
Non lo so, non è il momento
ora t'avvolgo,
poi ci penso.





"Guardiamo le stesse stelle e non ti darò più colpa
se nubi ignare ci impediranno di farlo insieme".

D.G. Palmiotti


Escistasera?