lunedì 29 aprile 2024

Perchè è importante fallire?

Quando mio padre mi insegnò il detto “sbagliando si impara” facevo la seconda o la terza elementare e non ricordo che cosa avessi sbagliato a scuola, io ne uscii mortificato.

Per lui, però, è sempre stato un gioco da ragazzi riuscire a trovare le parole giuste.

Ricordo che spesso, quando capitava che voleva confortarmi o motivarmi, mi diceva delle cose che mi spiazzavano, aveva un ricco bagaglio esperienziale da mettere a mia completa disposizione:

a volte si trattava di cose che gli erano successe da ragazzino,

altre volte erano storie che aveva letto ma da cui si potevano trarre insegnamenti utili per intere generazioni, in fila per tre, col resto di due,

altre volte erano poemi epici cavallereschi di sua invenzione improvvisati sul momento, in pentametro giambico.


Anche se cambiava la forma, la mia reazione era sempre la stessa,

riusciva a farmi smettere di piangere ed a stupirmi ogni volta come fosse la prima, io gli chiedevo se fosse vero quello che mi raccontava e la sua risposta era sempre: -“certo che è vero”.

I miei occhi si illuminavano al punto tale che mi sentivo strano,

fino ad un attimo prima stavo piangendo disperato e mortificato e, mentre ancora avevo il sapore salato delle mie lacrime sulla lingua sentivo già la pelle delle guance tirarmi verso le estremità del volto.


Mio padre è stata forse l'unica persona a riuscire ad introdurmi al mondo del fallimento.


Lo ha fatto più volte nella sua vita,

quando doveva farmi capire che avrei dovuto studiare ma, soprattutto, quando voleva farmi capire che non importava cosa avrei deciso di fare “da grande”: ogni cosa, qualunque cosa, anche la più bella, mi avrebbe chiesto dei sacrifici.


Purtroppo, però, non sono stato molto in grado di ascoltarlo e recepire per bene i suoi insegnamenti e quindi adesso mi ritrovo qui, a rovistare nella naftalina della mia vita passata per cercare di trovare una soluzione a questo drammatico momento della mia vita.


Dopo aver passato anni a capire che i fallimenti nelle relazioni vanno messi in conto,

che la gente va e viene e che sta a noi capire se vogliamo continuare a rincorrerne l'effimera illusione o preferiamo vivere accettando che possa anche non andare sempre come vogliamo, mi trovo davanti ad uno scoglio ben più insormontabile.

Il fallimento professionale.


Non avrei mai creduto sarebbe potuto capitarmi,

credevo che studio+abnegazione fosse la ricetta perfetta per il successo.

Mi sbagliavo,

qualunque sia la vera formulazione del successo, io non la conoscevo o, almeno,

non ne conoscevo il suo ingrediente principale, e che, a almeno per me, era anche quello segreto.


In realtà, nella mia cartella clinica, di fallimenti ce ne sono tanti, forse anche più della media ma io non me ne fregio perchè, semplicemente, li ho sempre evitati un attimo prima di andarmici a schiantare contro.

Mi spiego meglio:


luglio 2007, mi diplomo, e, come ogni studente del liceo, decido di iscrivermi all'Università.

Scelgo la facoltà di giurisprudenza, senza una vera motivazione, ma convinto che le professioni forensi potessero essere un buon ambito per il mio futuro;

la mia scelta era molto formale e poco sostanziale dato che, sì, sapevo muovere i pensieri a mio piacimento nella testa ma, a livello pratico, non andavo oltre l'allacciarmi le scarpe da calcio prima delle partite in oratorio.


Tuttavia, scoprii con sommo stupore che l'università sa essere bella persino per chi non vuole studiare come me, almeno per i primi mesi.

Nessuna interrogazione a sorpresa,

nessun compito in classe che ti costringe a morire nell'ansia di quale banco ti sarà assegnato il giorno dopo e se riuscirai a copiare e, soprattutto,

nessun cazzo di colloquio con i professori.


Che bello.


Al liceo, le incursioni di mia madre nell'orario di ricevimento dei miei prof. erano qualcosa di davvero imprevedibile,

c'erano momenti dell'anno in cui sembrava quasi che dovesse fare delle supplenze perchè, pur non essendo un'insegnante, passava più tempo lei in sala professori dei docenti ordinari.


Ovviamente mia madre andava anche a ricevimento dalla mia professoressa di religione..sì, proprio lei,

quella che in pagella non ti metteva un voto ma un “giudizio”,

buono,

buonissimo,

molto,

moltissimo,

quella che ha 48 classi ma “non ha bisogno di controllare il registro per ricordarsi di te” perchè lei, a 58 anni, si ricorda di tutti, e così sarai sempre lo stesso Mario, Marco, Francesco, di tutte le classi, di tutta la sua vita, anche di quando a scuola ci andava lei, ammesso che ci fosse mai andata, a scuola (perchè altrove ce la si mandava benissimo).

E ovviamente, a qualunque volto venissi associato, per mia madre, io ero sempre il fancazzista che non studiava, non rendeva, ed era maleducato.


-“Attenzione, prego, i signori passeggeri sono invitati ad allacciare le cinture di sicurezza perchè stiamo attraversando una piccola turbolenza”:


mia madre è andata a ricevimento dalla mia prof. di religione persino l'anno in cui ero esonerato dal seguire le lezioni di religione.


Assurdo, cioè, io ero autorizzato da mia madre a non seguire le lezioni di religione e lei

si presentava dalla mia professoressa di religione a chiedere come andavo!


Comunque, trascorso un non proprio idilliaco quinquennio a mettere le basi per una vita fatta di aoristi cappatici e perifrastiche passive, approdo alla gloriosa facoltà di giurisprudenza, tutt'oggi annotata come esperienza plurimensile sul mio ricco Cv.

A fine primo trimestre, il mostro del primo livello inizia a bussare alla mia porta:

1, 2, 3 volte, nessuna risposta.


Ero talmente evitante che non ho nemmeno mai sentito il professore che pronunciava il mio nome in sede d'esame.

Lui era in aula, io a casa.

Tecnicamente, potrebbe anche non avermi chiamato e teoricamente, questi non erano fallimenti.


Ad un tratto poi, ci sono voluti degli anni ma sono arrivati,

la vita mi ha insegnato a costruirmi delle certezze senza passare necessariamente per il rischio di una valutazione basata sulla conoscenza e questo mi ha facilitato parecchio, fino a tutt'oggi.


Se, però, un tempo non sapevo cosa sarei voluto diventare,

oggi posso dire di saperlo troppo bene;

tuttavia, per la proprietà commutativa, non è cambiato molto.

La paura di fallire mi ha legato con una corda ben più stretta di quella di 17 anni fa impedendomi, a tratti, persino di respirare.


Anche stavolta, dopo essermi sfogato con mio padre sul senso di impotenza che mi attanagliava, lui è stato in grado di estrarre dal cilindro una delle sue frasi, stupendomi anche adesso che qualcosa da insegnare ce la potrei avere anch'io.


C'è una sottile differenza fra chi sceglie di non combattere e chi viene sconfitto”.


Boom.


Uno dei libri più belli che abbia mai letto parla di un ragazzo che va via di casa, per fare il giro del mondo in cerca di qualcosa di leggendario che poi, a fine viaggio, scopre essere sepolta proprio dentro casa sua.

E' il paradosso della vita.


Per oltre 10 anni ho rincorso ciò che volevo limitandomi a non scendere in campo quando non mi sentivo all'altezza, senza nemmeno provarci e, soprattutto, senza affrontare a tempo debito la sconfitta, in tutti ogni ambito.


Certo, il tempo e le esperienze di vita hanno limitato i miei evitamenti ma non perchè io abbia imparato ad accettare le sconfitte, semplicemente perchè ho imparato ad accumulare molte più soddisfazioni.

Purtroppo, anche per un pelato come me tutti i nodi vengono al pettine e l'idea della sconfitta mi ha scaraventato in un vortice di terrore nei confronti della paura stessa, paralizzandomi completamente nonostante la fortissima voglia di andare avanti, e rendendomi completamente inerme adesso, nel momento più importante e più atteso della mia vita.


Non voglio fallire ma sto accettando di farlo e non sono pessimista, ma so che succederà.

Per assurdo, dico, sarà meglio che succeda, ma che fatica rendersene conto solo adesso.


Quindi, se posso darti un consiglio, chiunque tu sia:


non pensare che la vita passi solo per i successi perchè se così fosse saresti solo una persona estremamente fortunata;

il fallimento dovrebbe essere la prima cosa da mettere nel propri carrello nel supermercato della vita, perchè è solo con piccole o grandi dosi di fallimenti che capiamo come ottenere delle enormi vittorie e come affrontare le battaglie.


Escistasera?